Il Coronavirus, l’uomo uovo, l’amuchina e i castighi di Dio (29.02.2020)

 
 
 

di Vik van Brantegem

In questi giorni ne abbiamo parlato più volte e avevo messo da parte per attenta riflessione, un articolo segnalato dall’amico e collega Marco Tosatti qualche giorno fa sul suo blog Stilum Curiae (che proprio ieri, 27 febbraio 2020 ha toccato quota 14 milioni di visualizzazioni, in meno di tre anni e mezzo di vita), che oggi condivido, con la sua introduzione. A coloro che girano con i nervi scoperti da Uominucoli Ovetto (che da chiunque li legga vengono considerati quantomeno avventati, con la stessa baldanza di un Tombolo Dondolo qualsiasi, con questa sorta di auto-esaltazione di essere nel giusto sempre e comunque), consiglio di leggere – non solo il titolo, ma il contenuto – del mio articolo “Parla Angelo Scola: «Non esiste il castigo divino»” (La Repubblica, 26 febbraio 2020) – 28 febbraio 2020. Inoltre, non guasta di fare anche una ripassatina a II Coronavirus ci ha stufati. Prudenza, non terrore. Si torni a vivere e ridateci la Santa Messa! – 28 febbraio 2020.

Coronavirus. Spadaro, l’amuchina e i castighi di Dio
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 26 febbraio 2020
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, purtroppo siamo obbligati ad occuparci ancora del Direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, per la sua indefessa attività sui social, e su twitter in particolare. Come sa chi ha seguito nei giorni scorsi Stilum Curiae, il gesuita che -ahimè – sussurra al Pontefice ha usato la crisi del Coronavirus fra l’altro per attaccare non solo una parte politica che gli sta antipatica, ma anche per trattare da lupi travestiti da pastori quanti suggerivano che questa epidemia potesse essere in qualche modo una punizione verso i peccati umani. E anche ieri ha continuato – citando Vatican News – in questa operazione, come potete vedere.

Abbiamo chiesto il parere di un esperto teologo, che ci ha risposto in buona sostanza così, come abbiamo capito: Spadaro confonde la condanna col castigo. Le piaghe d’Egitto cos’erano? Il castigo è ad ammonimento del peccatore. È una pena da sopportare per espiare il peccato e convertirsi finché siamo nel mondo. La penitenza è appunto questo. Gesù ne ha fatto un sacramento. Perciò condanna il peccato, ma dice al peccatore di aggiustare la sua posizione finché vive, perché non gli accada dopo la morte poi di entrare nella prigione temporanea – il purgatorio – donde ne uscirà solo dopo aver pagato fino all’ultimo spicciolo. Per non parlare delle tante volte in cui mette in guardia dal castigo della Geenna che è eterno. In questo mondo il Signore punisce la colpa dei padri nei figli, fino alla terza e quarta generazione. Per questo è diffusa l’espressione: è un castigo di Dio. Egli procura la ferita, cioè il castigo, ma anche la fascia, cioè la cura. Spadaro finge di non conoscere le Scritture, ovvero le manipola.

Eh sì, perché la Bibbia non è un libro di fantasia – almeno per i cristiani – e un paio di castighi seri li riporta, attribuendo ai peccati degli uomini la colpa. Con buona pace dei Galantino, secondo cui Sodoma alla fine si salva…E qui sotto giusto per farsi una risata vi postiamo un altro paio di screenshot del Direttore de La Civiltà Cattolica. Sempre relativi alla crisi che sta mettendo in ginocchio città e regioni d’Italia, oltre a qualche morto, tanto per farvi capire in quali serie mani sia quella che era una prestigiosa rivista, le cui bozze vengono lette prima della pubblicazione in Segreteria di Stato. Non è così per i tweet del suo Direttore, temo…E non siamo i soli ad avere notato queste singolari esternazioni del padre gesuita. Chi fosse interessato può leggere questo articolo [che segue].

La posta del cuore di Agnese Farinelli
Missiva n̊ 9.
Il Covile (Risorse conviviali e varie umanità), 24 febbraio 2020
A questa timida signora non dovrebbe far difetto, a causa dell’età o forse e più ancora a causa dell’uso del mondo che ormai si è accumulato alle sue spalle, una certa aria di sufficienza e accondiscendenza nei confronti dei casi che di volta in volta le si presentano in forma di scritti, posizioni, singhiozzi ed espressioni varie dell’umana intelligenza.
Eppure i tempi non lasciano spazio a simili riposini postprandiali e quindi, prima di affrontare il tonificante tè pomeridiano prova a capire come sia possibile che lo scritto di Antonio Spadaro appaia ai suoi occhi meglio e più divertente ancora dei nonsense di Humpty Dumpty.
Il nostro «uomo uovo» [Prima di finire nelle pagine di Lewis Carroll Humpty Dumpty è un personaggio popolare del folklore inglese immaginato come un uovo umano: l’italiano Tombolo Dondolo] rotola dalle parti della french teory oggi stazionata, in mancanza di meglio, dalle parti di Santa Marta. Ecco parte del suo articolo sulla Civiltà Cattolica del 15 febbraio 2020:

Il coronavirus 2019-nCoV si sta diffondendo nel mondo, generando una sindrome del contagio universale. Il sistema di interconnessione planetaria dell’umanità ci fa sperimentare una condizione paradossale: più siamo connessi, più il contatto si può trasformare in contagio; la comunicazione in contaminazione; le influenze in infezioni.
L’apocalisse è a portata di mano. Scattano gli anticorpi, che impazziscono e si trasformano in sistema immunitario nei confronti di tutto ciò che temiamo di non riconoscere e di non riuscire a controllare. Il virus è ormai da tempo figura dell’immaginario: sin dalle piaghe bibliche fino alla peste dei Promessi Sposi e agli attacchi informatici. I confini dell’anima si restringono con la scoperta della nostra vulnerabilità.
La pandemia in questi casi finisce per essere sempre quella dell’insicurezza e dell’ansia. Il coronavirus sembra essere diventato oggi anche un sintomo (e un simbolo) di una più generale condizione di paura che ci portiamo dentro.

Ecco la prima sbavatura: la pandemia non è il caso specifico in essere, la presenza di un virus non aggredibile dalle normali terapie, bensì la paura, umanissima, che per sé e per i propri cari non si faccia in tempo a trovare la cura e si soccomba. Paura che Tombolo Dondolo-Spadaro trova ingiustificata e segno evidente dei confini ristretti dell’anima che la patisce. Il tono è quello della superbia di chi nelle assemblee sessantottine interveniva per ultimo per dire che finora la discussione era di basso livello, ma lui sì che sapeva dove si doveva andare a parare… E dove si va effettivamente a parare?

Un recente sondaggio Swg ha messo in luce quanto gli italiani avvertano paura. Quali paure? Solo un dato esemplare: il 72% teme che i propri figli non riescano ad avere uno standard di vita decente e il 58% che non riescano a costruirsi una famiglia. La paura del futuro: questo è oggi il virus dell’anima. Ma si potrebbe pronunciare una lunga litania di paure. Facendo memoria di Benigno Zaccagnini, il Presidente Sergio Mattarella di recente ha ricordato la sua esigenza «di offrire ai giovani un orizzonte di ideali, una prospettiva di valori per evitare l’inaridimento». «Inaridirsi è il pericolo che si corre», ha affermato: la paura inaridisce. Il primo effetto del contagio da virus della paura è l’anima arida, la desolazione. Il primo compito di un cattolico è, innanzitutto, la lotta all’inaridimento.

Ma qui comincia il bello:

Quali i sintomi del virus? La reazione immunitaria che ci fa percepire il contatto con l’altro, il diverso, come un rischio di contagio si va radicando nelle nostre società e prende varie forme: una concezione angustamente securitaria che comprime i diritti di libertà e lo Stato di diritto; il sovranismo inteso come l’opposto di una politica estera imperniata sul multilateralismo e sull’Europa; l’ostilità verso l’integrazione; l’uso politico del cristianesimo ridotto a «religione civile».

È una sequenza, sufficientemente significativa e sintetica, di luoghi comuni à la Foucault o à la de Certeau. Tutta roba di quarant’anni fa, come minimo, ripresa e appiccicata, senza troppa grazia, a una situazione drammatica nella quale fare sfoggio di riferimenti lessicali a filosofie che con il cristianesimo hanno intrattenuto rapporti quanto meno discutibili è da irresponsabili… o da dilettanti. Un modo di farsi ridere dietro proprio da coloro che sono rimasti sul piano teorico ancorati a quei discorsi. Risulta dai testi foucaultiani che la denuncia delle politiche securitarie in Foucault, che per primo le ha formulate, era accompagnata dalla critica violenta al soggetto che questa concezione l’aveva installata in Occidente, vale a dire la Chiesa, dal cui pulpito parla Tombolo Dondolo-Spadaro, nei modi attualmente consoni a questo papato! La ragione securitaria è alimentata dalla ragione pastorale. Il modello di sicurezza contro cui si scaglia Foucault deriva dall’applicazione rigorosa della pastorale cristiana, vale a dire del modo con il quale il gregge dei credenti è stato messo in sicurezza nei confronti delle tentazioni interiori ed esteriori.
Fare proprio questo schema, senza alcuna avvertenza critica, fosse pure il Baudrillard di Dimenticare Foucault (1976), significa accettare, in una misura variabile ma certa, il giudizio sul ruolo della Chiesa nella costruzione di quelle politiche che Tombolo Dondolo-Spadaro denuncia. Roba da dilettanti, appunto.
Tombolo Dondolo-Spadaro dimentica, o forse neppure sa, che proprio mentre Foucault elaborava la sua teoria era un entusiasta sostenitore della rivoluzione komeinista che avrebbe portato al potere un regime che è puro cristallo teocratico. E securitario. Ma c’è dell’altro. Il richiamo a una religione puramente civile da rifiutare è da tiro diretto nella propria porta con portiere fuori dai pali. Cos’altro si sta riducendo la Chiesa se non a una grande agenzia di assistenza sociale multilevel, con tanto di crowdfunding e strategia di marketing sociale? O forse sono questi stessi modelli d’azione imprenditoriale strategica ad essere stati anticipati dalla prassi aziendale della Chiesa cattolica? Nel qual caso la religione civile-assistenziale (anch’essa in qualche modo securitaria, se non si dimentica troppo in fretta il discorso foucaultiano) è una sorta di ritorno a casa. È per questo che il rimprovero all’uso salviniano dei simboli religiosi sbaglia il bersaglio perché le religioni civili formano sì un loro sistema di simboli ma senza alcun nesso con quello cristiani. Fanno, piuttosto, riferimento a istituti, bandiere, vessilli e procedure laicissime, tanto è vero che a rimproverare l’uso dei simboli cristiani nella lotta politica sono proprio coloro che aspirano a una religione civile sostitutiva di quella autenticamente cristiana. Richiesta legittima, beninteso, ma allora Tombolo Dondolo-Spadaro non ha capito nulla perché attaccando Salvini si mette in favore di coloro che più che Salvini attaccano la Chiesa tutte le volte che riporta nella discussione pubblica le questioni che le stanno a cuore per la sua missione. Questi rappresentano la vera «religione civile» ostile al cristianesimo non la presenza di simboli religiosi più o meno cogenti sul palco di un comizio.
Inserendo tutto questo pastrocchio nel paiolo della polemica contro il cosiddetto sovranismo viene coinvolto il fantasma del multilateralismo. Tale è, infatti dal momento che non c’è questione calda sullo scacchiere internazionale che dalla caduta del Muro non sia stata risolta con atti unilaterali di una delle potenze rimaste che, peraltro, hanno il grande problema di contenere la nascita di potenze locali con capacità di interdizione. Tombolo Dondolo-Spadaro si rivela così un gigante della confusione.
Per esempio. Ridefinire i poteri sovrani che sovrastano il cittadino è, con più o meno credibilità e contraddizioni, una questione «sovranista», di cui Tombolo Dondolo-Spadaro fa finta di non saperne l’origine. Intanto la configurazione europea del potere raggiunge con un sol balzo la semplificazione hobbesiana del sovrano assoluto che si impone perché cancella la sovranità divina: sotto l’Unione europea nessun corpo intermedio, sia Stato, comunità locali, ecc. ha legittimità d’esistenza effettiva. O meglio, se è permessa lo è formalmente e dopo fiera contrattazione, diciamo octroyée, come il vecchio Statuto Albertino. Per la Chiesa dovrebbe essere decisivo ridefinire la catena delle sovranità non negarne l’esistenza come se spazzati via i sovranisti i cittadini vivano in assenza di sovranità. Non solo è legittimo per qualsiasi formazione territoriale (non si possono più chiamare nazionali) ridefinire la sovranità che sovrasta coloro che insistono su un territorio ma un’esigenza di tale natura corrisponderebbe a quella vecchia formulazione della dottrina sociale della Chiesa, totalmente abbandonata, che vede la sussidiarietà come la principale intercapedine tra la vita del singolo e delle comunità e l’arbitrio potenziale di ogni sovranità sovranazionale e tendenzialmente imperialista. Ma questo non passa neppure per l’anticamera della testa di Tombolo Dondolo-Spadaro.

Il ragionamento è: se voglio star bene ed essere sicuro, devo indossare una mascherina e guardarmi dal contatto con l’estraneo. «Dovunque, l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo» (Elias Canetti). Vale sul livello personale, vale sul livello politico. L’algoritmo di Facebook ce lo ha insegnato: le relazioni si basano su un calcolo di affinità. Gli algoritmi ci garantiscono di incontrare sostanzialmente chi ci è affine, simile e compatibile.
Viviamo in una bolla filtrata da mascherine che rafforza la nostra identità e ci fa sospettare dell’altro. Ecco perché bisogna smentire la logica dell’algoritmo che ha plasmato le «macchine da guerra» social all’opera nella propaganda nazionalista e sovranista dell’homo homini lupus.

Una specifica forma virale di «paura» è il nazionalismo, che riduce l’idea di «nazione» anch’essa a una bolla filtrata. Pio XI nel 1938, ricevendo gli assistenti ecclesiastici dell’Azione Cattolica, aveva fatto comprendere come il cattolicesimo possieda gli anticorpi per debellare questo virus. Disse: «Cattolico vuol dire universale, non razzistico, non nazionalistico, non separatistico. Queste ideologie non sono cristiane, ma finiscono con il non essere neppure umane».
A differenza della globalizzazione imposta dai mercati, la visione cattolica è universale e pone al centro la persona e i popoli, riconoscendo l’altro, l’estraneo e il diverso come «fratello».
Il cristiano sente che deve farsi carico delle attese, dei cambiamenti e dei problemi del Paese, che lo interpellano ad agire. Come attivare concretamente, nell’ambito della nostra vita sociale e politica, gli anticorpi contro il virus della pandemia della paura, dell’ansia e dell’odio?

Una via per uscirne è rompere fisicamente la bolla degli algoritmi che fanno scattare una reazione di paura. Lo hanno fatto le «sardine», che – a prescindere da ogni altra valutazione di merito – hanno funzionato come anticorpi contro le retoriche d’odio. Hanno dato una risposta fisica. I social sono serviti per essere «sociali», cioè per incontrarsi. Questa è una via d’uscita: incontrarsi, fare cose insieme, dall’Erasmus alle iniziative di quartiere, per rivitalizzare i territori, le piazze, dove oggi non ci si parla più, ma si fanno comizi. […]

Ah Moretti, Moretti… viaggio, faccio cose incontro gente… Ma Tombolo Dondolo-Spadaro non si accorge neppure di essere scivolato lui stesso nella tematica securitaria di qualche riga sopra. Le «sardine» sono degli antivirus, hanno funzionato come anticorpi! Ma non dovevamo abbandonare la paura dei virus e farci invadere dall’Altro? C’è altro e Altro. Sì, certo c’è dell’altro ma non c’è poi molto, c’è la vecchia solfa.

Ed è la fine, grottesca, alla quale tutta questa caciara si riduce a rompere le balle – terminologia che la signorina accetta di buon grado solo in questa occasione – a quelli che, pur con dubbia efficacia, si mettono la mascherina per proteggere se stessi o gli altri dal contagio. A costoro gli si dice: con la mascherina stai scappando dal confronto con l’altro, lo stai rifiutando, hai paura… vai abbraccialo piuttosto e, se ti capita di infettarti, sappi che a guarirti ci penserà l’altro che hai abbracciato che nel frattempo forse è anche morto.

Non ci siamo proprio. Un rappresentante della Chiesa, un consigliere del Papa non può raggiungere simili livelli di incapacità nel discernere la situazione, le priorità che la situazione richiede e arrampicarsi su specchi che, peraltro, neppure sono i suoi, ma reperti di un’epoca di fraintendimenti ed equivoci dai quali la cultura contemporanea cerca con fatica di liberarsi.
Il resto, che ho risparmiato al Direttore paziente al quale invio questa mia affinché la trasmetta ai suoi affezionati lettori, non chiede di essere citato perché sa già di appartenere alle cose di pessimo gusto che non allietano i miei pomeriggi.
Sento fischiare il bollitore. Nella teiera Goût Russe Douchka, tè nero, bergamotto, arancia dolce, limone, 4 o 5 minuti di infusione a 90̊ C.
A.F.

Fonte:korazym.org

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